Il progetto

L’idea parte da una semplice constatazione statistica di evidenza quotidiana: gli scarti organici, a prescindere dalla loro più o meno virtuosa gestione, arrivano a costituire anche un terzo della produzione complessiva dei rifiuti.

Questo ingente quantitativo (in Abruzzo anche oltre 230.000 tonnellate), viste le caratteristiche di instabilità che contraddistinguono la materia organica, ha bisogno di essere “lavorato” in tempi solleciti in ogni fase della filiera gestionale. Questa, in linea di massima, comporta pochi ma inevitabili passaggi: la selezione, separata quando è prevista, presso il luogo di produzione (casa, ristorante, mercato, ecc.), la raccolta, differenziata o meno, il trasporto ad una piattaforma di trattamento, lo smaltimento o la trasformazione (discarica o impianto di compostaggio o altro ancora).

Al di là della apparente semplicità, l’assetto organizzativo di detta filiera è comunque impegnativo: le attività svolte da parte di tutti i soggetti coinvolti sono quotidiane ed i servizi di riferimento hanno quindi frequenze di intervento molto serrate. Il rilievo economico che ne scaturisce, in termini di costi, è sicuramente importante e di ciò è forte la consapevolezza sia degli amministratori che dei cittadini.

Tutto questo accade perché la sostanza organica è un “materiale effimero”; nel corso di un tempo anche abbastanza ridotto, infatti, cambia il suo aspetto, ovvero si decompone, perdendo acqua e anidride carbonica, e quindi peso, trasformandosi in altro, a seconda delle condizioni in cui il processo avviene.

Sono proprio i tempi di decomposizione a scandire i ritmi organizzativi dei servizi nonché l’architettu­ra degli stessi, nella necessità di dover assecondare o guidare gli inevitabili processi di decomposizione.

Alla luce di quanto detto, devono far riflettere alcune constatazioni:

  • scarti “umidi” sono tali perché contengono acqua;
  • la gestione dei rifiuti organici è soprattutto “acqua” quella che si raccoglie, si trasporta e si conferisce ad un impianto per il trattamento o lo smaltimento finale;
  • tutte queste operazioni corrisponde un costo, oltre che diverse forme di impatto sia in termini di trasporto, di occupazione del territorio, di consumo di energie e di risorse.

Rispetto allo scenario delineato, la pratica dell’autocompostaggio potrebbe costituire, per gli organismi preposti, una procedura gestionale di rilievo strategico: gli scarti organici, infatti, vengono trattenuti dal produttore (chiunque esso sia) e non più conferiti al circuito della raccolta e del trattamento. Il “rifiuto organico” (anche se in questo scenario detta denominazione verrebbe meno per via del “mancato abbandono”) viene riciclato e successivamente riusato nello stesso luogo di produzione (giardino o orto).

Ciò comporta la disattivazione del relativo servizio di raccolta, trasporto, smaltimento o trasformazione con una conseguente riduzione diffusa dei costi di gestione (meno personale, meno carburante e quindi meno produzione di CO2, meno mezzi, meno usura e meno manutenzione, riduzione dei costi di conferimento in piattaforma, maggiore se in discarica, ecc.).

Si può anche affermare che, per la mancata immissione di detto materiale nel relativo circuito gestionale, la produzione complessiva dei rifiuti nell’ambito territoriale interessato potrebbe diminuire anche del 25-35%, con risvolti assolutamente interessanti circa l’efficienza dei servizi di gestione della frazione secca.

La pratica dell’autocompostaggio, quindi, si configura come una decisiva azione di prevenzione della produzione dei rifiuti, in aderenza alle norme emanate a riguardo dall’Unione Europea nonché a quelle vigenti nazionale e locale.

Proprio a tale riguardo la Regione Abruzzo ha individuato specifiche azioni, tra cui l’autocompostaggio, che mirano alla riduzione a monte della produzione dei rifiuti.